Anselm Kiefer
Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce
(Andrea Emo)
Dal 26 marzo 2022 al 6 gennaio 2023
Venezia, Palazzo Ducale – Sala dello Scrutinio
A cura di: Gabriella Belli e Janne Sirén
Il titolo dell’esposizione dedicata ad Anselm Kiefer, Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce, è una citazione da Andrea Emo (1901-1983), il filosofo italiano nel cui pensiero il pittore vede un riflesso del proprio. Secondo Kiefer, la vita e l’arte vivono una nuova nascita dalle rovine, dai resti di ciò che è stato. Un pensiero ricorrente nelle sue opere è la simbiosi tra essere e tempo.
Il ciclo monumentale di dipinti kieferiani accolti nella Sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale, e realizzati come installazione site-specific per questo spazio, offre ai visitatori una convergenza di motivi, idee, luoghi, filosofie e storie. Il ciclo di opere, un infinito otto volante visivo, non ha un inizio narrativo o un punto finale: è l’osservatore a scegliere dove iniziare la propria esplorazione del Ciclo di Venezia.
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La tela luminosa sulla parete meridionale, divisa verticalmente da una scala d’oro, offre un punto visivo di orientamento. In quest’opera l’artista presenta uno dei suoi temi ricorrenti: la Scala di Giacobbe. Nelle opere di Kiefer la scala biblica assume diversi significati. Qui indica la nascita e l’evoluzione della gloria di Venezia, dagli inizi modesti in una laguna paludosa ai fasti e alla vittoria, alla ricchezza e all’apogeo.
Volgendosi verso ovest si incontra un paesaggio con marina: la ricchezza e l’identità di Venezia nascono dal mare. Entro la fine del XIII secolo, la città si è trasformata da un semplice villaggio di pescatori e rifugiati, fondato nel tardo periodo romano, in una delle metropoli europee più ricche e degli imperi marittimi più potenti. Ma ciò che il mare dà, viene tolto dalla sua stessa vicinanza: rotte marittime e inondazioni avanzano spesso tenendosi per mano. La vasta emanazione che esplode attraverso il dipinto tramuta una scena marina quotidiana in un momento in cui si palesa un intervento spirituale improvviso e misterioso. Le emanazioni sono comparse nell’arte kieferiana dalla metà degli anni ottanta del secolo scorso, e sono generalmente allusioni al processo creativo secondo la tradizione cabalistica.
Il dipinto successivo sulla parete occidentale raffigura un vigneto in inverno, con filari di viti che si protendono verso l’orizzonte lontano. Alcune di queste viti si attorcigliano verso il registro superiore dell’opera, dove formano un arco veneziano naturale. Una bara di zinco è collocata al centro di questa architettura vegetale. Il coperchio è aperto come quello di una comune scatola di sardine. All’interno della bara si trovano due girasoli di piombo, uno poggiato su un cuscino, sempre di piombo, l’altro con lo stelo infilato sotto. All’estremità della bara è visibile un sacchetto di soldi; altri sei sono caduti fuori, impigliandosi nei rami di vite alla base del dipinto. All’interno della bara è leggibile un’iscrizione: “San Marco”. Introducendo in questo dipinto la bara vuota di San Marco, Kiefer fonde una componente della storia attuale nella sua esegesi cosmica di Venezia. Si crede che le reliquie di San Marco, il santo patrono di Venezia, siano state portate in città da Alessandria nell’828. Ma le sue spoglie andarono perdute nel 1063, durante la costruzione della Basilica di San Marco, progettata come l’ultimo luogo di riposo del santo: il tesoro più prezioso della Serenissima era andato scomparso, anche se, secondo la tradizione, le stesse reliquie furono riscoperte qualche decennio dopo. Nel Ciclo di Venezia ideato da Kiefer, la bara vuota di San Marco non è soltanto un riferimento a un furto e a una sparizione avvenuti secoli prima, ma rappresenta il simbolo potente di un vuoto, un’assenza, un nulla al centro della vera essenza di Venezia, e della storia in generale.
L’ultimo dipinto sulla parete occidentale della Sala dello Scrutinio ha dimensioni maggiori rispetto a quelli a lui vicini. Nella parte superiore dell’opera si assiste a una processione di carrelli per la spesa e tricicli che si sposta da sinistra a destra; ognuno è carico di prodotti simboleggianti la ricchezza di Venezia. Targhette appese ai mezzi la identificano come una processione di dogi, i capi dello stato nella Repubblica di Venezia. Secondo la tradizione, Venezia ebbe 120 dogi tra il 697 e il 1797.
Nella tela di vaste dimensioni sulla parete settentrionale Kiefer vira verso l’astrazione dinamica. Qui il cielo è illuminato da fuochi d’artificio di vernice e macchie di gommalacca. Contro uno sfondo ocra, chiazze blu e bianche si alternano a gocce di resina scura. Sotto la linea dell’orizzonte, in uno sfoggio di virtuosismo artistico, acqua e terra si tramutano in ghiaccio e neve.
I fuochi d’artificio bellicosi continuano sulla parete orientale. Nell’opera a sinistra, un grande sottomarino è sezionato orizzontalmente da una emanazione che si estende su tutto il dipinto – il naviglio sventrato da questo lampo cosmico assomiglia a una gigantesca lisca. Qui l’oscurità ha sopraffatto la luce. Una rete pare trascinare quello che un tempo era un mezzo navale potente verso il fondo, verso la laguna paludosa dove altri elmetti di soldati caduti evocano il concetto di morte in battaglia.
La tela successiva, che misura 9 metri, unisce in sé diversi registri di essere e tempo. Nella parte superiore, il vessillo imperiale di Venezia oscilla mosso dal vento, con il Leone alato di San Marco che osserva la Babele sottostante. Palazzo Ducale è chiaramente riconoscibile nel pannello centrale, ma pare fondersi, sottomesso da fuoco e fumo. Alla sinistra e alla destra del Palazzo che si sta distruggendo si trovano due pannelli di difficile lettura, popolati da folle di figure appena contornate, forse un riferimento kieferiano alle frotte di turisti che affollano Venezia ogni anno. La parte inferiore del dipinto è dedicata all’Ade, il regno dei defunti. Qui si trovano i giovani e i vecchi che sono morti nel corso della storia. Schiere infinite, che si distendono per suggestione visiva in lontananza, oltre la cornice. Più di qualsiasi altra opera del Ciclo di Venezia, il dipinto enfatizza la visione nichilista che Kiefer ha della storia: secondo l’artista, infatti, i tratti distruttivi dell’umanità portano via via alla caduta delle civiltà.
Il dipinto finale nella Sala dello Scrutinio si avvicina alla pura astrazione. Raffigura infatti nulla e tutto, essere e tempo senza essere e tempo. Vediamo tre emanazioni che ne richiamano altre nella stanza. Se interpretiamo la pittura come una poesia, possiamo immaginare come le emanazioni di Kiefer nutrano la nascita di una nuova laguna, e come una nuova vita nasca dall’annientamento della vita precedente – un Big Bang veneziano. E così, attraverso le domande su essere e tempo, prosegue il ciclo della vita nella cosmogonia esistenziale di Kiefer.
Testo di Janne Sirén
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