DUE FRAMMENTI DI TESSUTO
Testi di Paola Frattaroli
Due frammenti di tessuto con ordito rigato a due colori e scritta araba in caratteri naschky, proveniente dal corredo funerario di Cangrande I della Scala, signore di Verona (morto nel 1329); databili tra la fine del XIII secolo ed i primi anni del XIV, realizzati da maestranze originarie dal centro Asia ma probabilmente attive nella regione dell’Arzerbaigian, con fulcro operativo o commerciale nella città di Tabriz, durante la dominazione Mongola.
DESCRIZIONE
Il pezzo più grande misura come ingombro massimo cm. 43,5 in senso ordito x 29,3 in senso trama; l’altro, cm. 13,4 x 22 (rispettivamente sempre in senso ordito e trama).
Si tratta di materiali erratici rimasti nell’arca, dopo l’ispezione avvenuta nel 1921 e riportati alla luce con altre stoffe nel 2004, quando il sacello fu nuovamente aperto per esaminare sia i reperti, che lì erano stati lasciati, sia per raccogliere maggiori informazioni sulle cause che avevano condotto alla morte il signore scaligero.
Vanno aggiunti agli altri della stessa stoffa, documentata dal ’21, ma per essi non è stata ancora studiata l’esatta collocazione nell’insieme dei pezzi; cosa ottenibile solo attraverso una attenta analisi dei decori – per altro ora scarsamente leggibili – e un lavoro di mediazione tra le proporzioni modulari del pattern 3, le lacerazioni, con le deformazioni che il manufatto ha subito.
Come si può comunque notare dalla sottigliezza dei materiali e dalle ipotesi ricostruttive del decoro (in senso cromatico e formale) oggi è possibile solo immaginare la straordinaria leggerezza e ricchezza che caratterizzava questo reperto. Nei verbali del 1921 veniva indicato come “velo funebre”, perché si dedusse fosse appoggiato sul corpo. La mancanza di tagli e cuciture, insieme alla presenza delle cimosse (visibili anche in questi due frammenti) ha consentito di ipotizzare una altezza del tessuto collocabile intorno al metro 100; aspetto anche questo non secondario, tanto più se considerato insieme alla varietà delle tipologie decorative utilizzate. Tutti elementi che rafforzano, sottolineandolo, il suo straordinario valore.
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Didascalie immagini
Foto 1.a Rilievo quotato del frammento più grande
Foto 1.b Rilievo quotato del frammento più piccolo
Foto 1.c Dettaglio, in scala 2: 1, del particolare ornato che segnala la fine del tessuto
Foto 2. Ricostruzione cromatica e degli ornati nel rapporto
Foto 3. Carta tecnica del rapporto
Foto 4. Tracciati costruttivi e proporzionali del rapporto
Foto 5. Raggruppamento dei disegni in base alle culture cui fanno riferimento
ALCUNE CONSIDERAZIONI SUI DECORI
Da subito la calligrafia araba, in corsivo naschky, che originariamente si ripeteva sull’intera lunghezza, era diventata l’elemento più significativo per indicare questa stoffa. Scritte utilizzate come decorazioni genericamente beneauguranti, al di là di uno specifico destinatario, erano tuttavia diffuse nell’Egitto e nella Siria dei mamelucchi. Accadeva così che al lavoro di un calligrafo seguissero applicazioni con tecniche diverse, dove le specificità esecutive o le trasposizioni degli artigiani (spesso ignari della lingua) potevano interferire sul significato finale, storpiandone il senso. Al tempo della scoperta dei reperti il dibattito che si aprì sull’argomento raggiunse spesso forti contrapposizioni, tra gli intellettuali dell’epoca, che oggi appaiono sostanzialmente stemperate in una lettura quasi univoca, a parte piccole varianti dovute alla diversa interpretazione delle contrazioni presenti in alcune parole. Attualmente il significato può essere pertanto considerato il seguente: “a te appartengono l’onore e la gloria più eccelsi”.
I paragoni con tessuti listati in ordito, realizzati da filati dorati e contenenti nelle fasce, scritte arabe, elementi fito e zoomorfi, spesso di ispirazione cinese, hanno condotto quasi sempre verso prodotti definiti mamelucchi o ilkanidi, sull’esempio dei primi esempi considerati, come quelli di Braunschweig o delle tonacelle conservate a Regensburg. Furono le classificazioni di A. Wardwell, corroborate da un ampio ventaglio di confronti, che contribuirono a orientare in modo più preciso l’attribuzione di molti tessuti, compresi quelli scaligeri, a produzioni tartariche, originarie dal centro Asia. Da questa angolazione l’esempio più pertinente in assoluto – soprattutto per la similarità della scritta – fu trovato nella stoffa di Alfonso della Cerda, conservata a Burgos. Cosa che fece ipotizzare per entrambi i manufatti (quello veronese e quello spagnolo) una comune manifattura, i cui prodotti avevano potuto raggiungere luoghi così lontani grazie all’ampiezza e alla capillarità delle vie commerciali allora attive, garantite dal periodo della così detta pax mongolica.
Gli ibridismi culturali che caratterizzano questi manufatti, oltre che dalle scritte arabe, nel reperto scaligero sono precisamente rappresentati dai decori vagamente classicheggianti, in senso latino, costituiti da dischi sovrapposti (terminanti nel centro con un piccolo quadrifoglio); dalle inflessioni bizantineggianti rintracciabili nel sottile nastro che crea quadrangoli distanziati e terminanti in un piccolo rombo – vagamente somigliante a una greca – e nelle tre liste profilate e sovrapposte, impaginate con nove motivi vegetali trilobati, collegati specularmente da un rombo. Echi ilkanidi si possono leggere nei bulbi sovrapposti, con foglie trilobate e carnose, elegantemente ricurve e costruite a specchio su asse verticale. Mentre riferimenti sinizzanti si trovano invece nelle forme animali: dalle anitre in volo al lung, qui filtrato da esemplari buddisti di epoca mongola (come dimostra il drago scolpito ad altorilievo e scoperto in un tempio buddista del XIII, nella regione iranica di Sultaniyah). Sarebbe tuttavia riduttivo leggere questa complessità come la semplice conseguenza di un assemblaggio. In realtà le misure del rapporto sono frutto di un calcolo proporzionale generato dalla scritta (costruita su due quadrati accostati, con proiezione all’esterno della diagonale che li attraversa) da cui si ricava la misura di cm. 21 in senso ordito x 26,5 in senso trama. Impiegando, come si vede, una tipologia più complessa rispetto la sezione aurea nota, con risultati incidenti tanto sulle ripartizioni interne, che nella costruzione dei singoli disegni (si veda ad esempio la misura del rettangolo che contiene il lung).
Mentre da un lato l’eterogeneità di questi ornati e delle loro griglie isometriche a losanghe, li allontana dalle aree collegabili con radici “latine” (incentrate sull’ortogonalità e la basilare regolarità delle quadrature) di fatto li rende però consonanti con prodotti decorativi provenienti da territori dove dominanti sono le pluralità culturali, con la conseguente complessità dei linguaggi e delle strutture profonde che le generano. Sono infatti da questi tracciati, isometrici e planari da cui, come in un alveo di coltura, prendono vita i caratteri generativi delle forme.
Tali considerazioni acquistano tanto più valore se si accostano alle notizie fornite da Marco Polo sulla città di Tabriz (capitale Ilkanide dal 1265) pullulante di popoli e di credenze religiose diverse, particolarmente attiva nella produzione di tessuti con filati d’oro. Né è sottovalutabile il fatto che i mongoli usassero deportare dai luoghi occupati le maestranze attive nei setifici. Il tutto in un dominio territoriale, stabilizzatosi dalla metà del del ‘200 secolo e che durerà quasi un secolo, dalle enormi proporzioni, comprendente, secondo un tacciato orizzontale, paesi che andavano dalla Cina all’Asia Minore, e verticalmente dalla Russia all’Ucraina.
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SCHEDA TECNICA
Definizione: lampasso rigato in ordito, con opera di trame lanciate, in oro laminare e argentato sui due lati.
Rapporto del disegno: cm. 21 in senso ordito x 26,5 in senso trama.
Orditi: due; uno di fondo: a due colori (Blu-verde, giallo-oro; presenti nel seguente rapporto di orditura: 4,9 cm. blu-verde; 6,3 cm. giallo-oro; 4,9 cm. blu-verde; 9 cm. giallo-oro); riduzione: 70 fili/cm; uno di legatura: colore giallo oro; presente nel rapporto di 1: 5; riduzione complessiva: 84 fili/cm.
Trame: due; una di fondo: colore giallo-oro; una d’opera in filato membranaceo laminare a doppio strato dorato e argentato; sono presenti nel rapporto 1:1 con riduzione complessiva di 28 fili/cm.
Armature: raso da 5 effetto catena al dritto per l’ordito e la trama di fondo (scoccamento 3?); armatura tela per l’ordito di legatura e la trama d’opera in filato metallico; alzata in massa nell’opera, secondo il disegno, per l’ordito di fondo.
Cimosse: misurano mediamente cm. 0,6 / 0,65, sono formate dall’ordito i fondo, colore giallo-oro, con un cordellone sul brodo esterno in filato più grosso e di colore scuro, tessute con armatura raso, pesante, dalla trana di fondo, colore giallo-oro.
Materiali: filato in seta a forte torsione, andamento “Z” (numero di spire a cm. non individuato) con diametro apparente di 1/12 di mm. nei colori giallo-oro e blu-verde, per l’ordito di fondo; filato in seta colore giallo-oro, torsione “Z” (numero di spire a cm. non individuate) con diametro apparente di 1/10 di mm. per l’ordito di legatura; filati in seta a torsione minima, con diametro apparente di 0,5 mm. per la trama di fondo; filato in oro laminare argentato, sui due lati, su supporto membranaceo, larghezza della lamina 0,5 mm., per l’opera.
Montatura del telaio.
Telaio orizzontale:
provvisto di un doppio corpo di licci: uno formato da almeno cinque elementi (che per ragioni correlate al bilanciamento dei movimenti, potevano essere anche 10) con licci ad alzata, per l’esecuzione del raso, con l’ordito e la trama di fondo; uno formato da due elementi, con licci per abbassata, per la realizzazione del tela, mediante l’ordito di legatura e la trama laminare metallica;
montatura costituita da un apparato a tiranti per l’alzata in massa nell’opera, secondo il disegno, dell’ordito di fondo, per le inserzioni del filato laminare, in sincrono con quelli per il tela, per abbassata.
La realizzazione del rapporto, che misurava in trama cm. 26,5 comportava complessivamente l’impiego di 1.750 fili di ordito, mentre la “portata” del telaio (corrispondente al numero dei fili con movimenti diversi) poteva scendere a 1.120, poiché alcune parti dei disegni, essendo speculari, dimezzavano automaticamente
il numero delle corde necessarie, nelle fasi della tessitura. Così grazie allo snodo dei tiranti, collegati nella parte bassa del telaio ai fili di ordito (grazie alle maglie, attraverso le quali essi passavano) e nella parte alta, alle corde -mosse a trazione- era possibile spostare più fili contemporaneamente, facendo convergere i cordini ed i tiranti, corrispondenti ai fili di ordito con uguali andamento, all’aggancio sulla stessa corda.
La ricostruzione del rapporto ha consentito di rivedere l’impaginazione dei vari frammenti, rispetto la sistemazione adottata dopo il 1921, consentendo di ipotizzare una altezza del telo non inferiore ai 100 cm.
Pertanto tenendo conto di questa misura, le ripetizioni modulari tra una cimossa e l’altra dovevano essere almeno quattro e su questo numero era conseguentemente predisposta la montatura, per la moltiplicazione dei movimenti, con l’apparato a tiranti.
Rimanendo sui reperti esposti, un’ultima considerazione da segnalare come significativa, riguarda la barra decorata in senso trama, visibile nel frammento più piccolo. Probabilmente in filato metallico, ora caduto, come si deduce dalla variazione cromatica della superfice. Segnalando quasi certamente la fine del telo -con l’interruzione dei decori da una cimossa all’altra- potrebbe consentire –per analogia- di ipotizzare un disegno simile dalla parte opposta, ora comunque non individuabile per le frammentazioni del tessuto e le compromissioni subite dai filati.