HENRI ROUSSEAU
Il candore arcaico
6 marzo – 6 settembre 2015
Venezia, Palazzo Ducale – Appartamento del Doge
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Prorogata fino al 6 settembre 2015
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RITRATTO – AUTORITRATTO
Per capire chi è davvero il pittore Henri Rousseau è interessante osservare il suo Autoritratto, esposto nel 1890 al Salon des Indépendans, diventato da subito un’icona.
L’Autoritratto è il manifesto della sua pittura. Il quadro contiene tutti gli elementi che caratterizzano il suo stile: frontalità quasi ieratica, accentuata bidimensionalità, cromatismi accesi, ossessione per il dettaglio, semplificazione massima delle forme, uso marcato del disegno di contorno, messa a fuoco senza soluzione di continuità di tutti i piani prospettici della rappresentazione, luce fredda, senza zone d’ombre e chiaro-scuro, e, infine, secondo uno stile che gli deriva da una lunga tradizione pittorica popolare, accentuazione sproporzionata delle forme, una tecnica utile per dare evidenza a soggetti o figure, che egli considera di particolare importanza. La sua pittura rimarrà pressoché invariata dal 1885 al 1910, rendendo assai difficile in assenza di documenti, la datazione delle sue opere, che mai cedono alla tentazione di nuove sperimentazioni o cambiamenti di rotta.
Di questo stile fanno tesoro molti artisti suoi contemporanei, ma anche delle generazioni successive. Ecco allora altri ritratti eseguiti da pittori suoi amici come Louis Anquetin, vicino a Toulouse-Lautrec, che adotta nel ritratto dell’attore Samary, la bidimensionalità senza ombre e i neri cupi di Rousseau; Charles Filiger, conosciuto tramite il poeta Alfred Jarry, un pittore non troppo famoso del gruppo nabis, con cui Rousseau espone nel 1894, che condivide il segno marcato ma anche l’espressività muta dello sguardo attonito del ritratto del Doganiere, e Felix Vallotton, uno dei suoi primi estimatori, che commentando nel 1891 l’opera di Rousseau in occasione settimo Salon des Indépendans scrive “C’est l’alpha et l’oméga de la peinture”.
Gli intellettuali al Caffè del pittore italiano Tullio Garbari, molto vicino a Carlo Carrà, è un quadro che spiega il diffondersi del “modello Rousseau”, nella seconda metà degli anni Dieci, quando tramite Ardengo Soffici molti artisti italiani, usciti dalle secche del Futurismo, ripartono proprio dal Doganiere per ritrovare la via di una nuova pittura, che passando dal suo arcaismo risalirà alla fonte dei Primitivi Italiani del 1300.
Rousseau, dal canto suo, sembra intercettare nella sua opera quella linea dell’arte moderna che come un fiume carsico ha attraversato molti secoli, nutrendosi di quella semplicità virginale e di quello stile sobrio ed essenziale ben rappresentato dal cinquecentesco Ritratto di Gentiluomo, dipinto da un pittore nordico, Jan Van Scorel, che introduce la sala in perfetta contiguità con l’esito del suo lavoro.
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