Palazzo Ducale

  • Venezia
    gli Ebrei
    e l’Europa 

    1516-2016

     

    Dal 19 giugno al 13 novembre 2016
    Palazzo Ducale, Appartamento del Doge

Palazzo Ducale

VENEZIA, GLI EBREI E L’EUROPA 1516-2016

Visita la mostra

Orario
8.30 – 17.30
ultimo ingresso 16.30

Chiuso il 25 dicembre e 1 gennaio

Il percorso di visita

Il richiamo evocativo al “getto” di rame e alla fonderia esistente a Cannaregio prima del recinto degli ebrei – da cui sarebbe derivato anche il toponimo “ghetto” – apre il percorso della mostra, che prosegue con la visualizzazione dei flussi migratori ebraici in Europa, dopo la cacciata dalla Spagna e dal Portogallo, e con un focus sulla presenza d’insediamenti ebraici in Veneto, a Venezia (in particolare nell’area centrale e in quella mercantile) e a Mestre.

A Rialto un gruppo di giudei nel 1515 aveva anche acquisito una serie di botteghe: il cuore degli affari lagunari era al tempo vivacissimo e la ricostruzione in mostra del ponte di Rialto – ancora apribile nel mezzo per il passaggio delle imbarcazioni – e degli affollati spazi di scambio eretti dopo il grande incendio del 1514 è di particolare effetto.

Agli splendidi teleri di Vettor Carpaccio realizzati per la Scuola degli albanesi – la Predica di Santo Stefano proveniente dal Musée du Louvre e la Presentazione di Maria al tempio dalla Pinacoteca di Brera – è affidato il compito d’evidenziare la variegata compresenza in città, tra fine Quattrocento e inizio Cinquecento, di svariate comunità nazionali, etniche e religiose nel contesto urbano: cristiani, turchi e anche un componente della Comunità ebraica, raffigurato con il copricapo nero e la lunga barba. Insieme alla visione ecumenica di una città cosmopolita, la pittura in questo scorcio di secolo non manca di registrare anche i sintomi di una discrasia di fondo, con l’affermarsi di un’icongrafia antisemita: nell’Ebbrezza di Noè di Giovanni Bellini e nell’Ecce Homo di Quentin Metsys la fisiognomica ebraica si trasforma in grottesca e fortemente caricaturale.

Nel campo dell’editoria, Venezia divenne la fucina dei modelli tipografici già alla fine del Quattrocento, con Aldo Manuzio, con significativi esperimenti in ebraico già nella piccola grammatica l’Introductio perbrevis ad Hebraicam linguam da lui pubblicata. Fu però Daniel Bomberg, imprenditore fiammingo, a trasformare la città in centro d’eccellenza nel settore. Dopo essersi garantito il privilegio di pubblicazione con caratteri ebraici mandò alle stampe opere che sarebbero diventate modello di riferimento per gran parte delle edizioni successive. Tra i libri esposti, la Bibbia Rabbinica curata da Felice da Prato, ma anche esempi degli oltre duecento scritti pubblicati dalla sua stamperia.

L’era di Bomberg si chiuse nella metà del Cinquecento con la rivalità fra due tipografi veneziani, Marc’Antonio Giustiniani e Alvise Bragadin, e con la bolla papale che portò al rogo dei Talmud del 1553: tutto testimoniato nel percorso espositivo, in cui viene proposta una sorta di prezioso scriptorium, scandito dalla presenza di libri di grande pregio provenienti dalla National Library of Israel, dalla Biblioteca Marciana e dalla Biblioteca di San Francesco della Vigna. Tra le opere più significative: il testo di Lascaris di edizione aldina, la Torah di Maimonide – stampate rispettivamente da Alvise Bragadin e da Marcantonio Giustinian nel 1550 e nel 1551 – il Pentateuco stampato da Daniel Bomberg, l’Ester di Leon Modena, uno straordinario trattato settecentesco illustrato di astronomia, medicina e anatomia di Tobia Coen.

Le strutture abitative all’interno del Ghetto, lo sviluppo urbano e sociale nel recinto e i suoi ampliamenti successivi sono un altro aspetto toccato dall’importante mostra; così come l’illustrazione delle cinque sinagoghe e delle yeshivot affidata a un video, a oggetti rituali d’argento e ai pannelli decorativi in cuoio, appartenenti al Museo Ebraico veneziano.
La figura femminile nella società ebraica del tempo ebbe un ruolo tutt’altro che secondario: alcuni contratti matrimoniali (ketubbot) acquerellati e qualche tessuto di grande raffinatezza accennano alla vita quotidiana, ma poi la figura di una donna del tutto eccezionale, come Sara Copio Sullam, emerge con i suoi scritti e l’intenso rapporto intellettuale con Leon Modena.

Quindi l’arrivo di Napoleone nel 1797, con la caduta della Repubblica, l’eliminazione delle porte del “recinto” bruciate nel campo del Ghetto Nuovo, l’assimilazione dei giudei nella società civile e la presa d’atto da parte della municipalità dello stato di degrado di un’area periferica da sempre trascurata dal punto di vista della manutenzione edilizia.

Ulteriori supporti multimediali in mostra approfondiscono da un lato la storia del cimitero ebraico del Lido, dall’altra il ruolo, nel creare stereotipi sugli ebrei, giocato nella letteratura mondiale da Il mercante di Venezia di Shakespeare e le sue innumerevoli rappresentazioni cinematografiche e teatrali.

Il XIX secolo è scandito dal ritorno degli ebrei a pieno titolo in città e nella società: molti escono dal perimetro, alcune famiglie acquisiscono palazzi di prestigio, spesso lungo il Canal Grande, inizialmente nel sestiere di Cannaregio poi anche a San Marco.

Un famoso e grande plastico della città realizzato nel 1961 per una mostra a Palazzo Grassi darà vita, collegato a un dispositivo multimediale, a una sorta di atlante luminoso delle abitazoni ma anche delle architetture realizzate su committenza ebraica e/o ai molti dei progetti degli stessi professionisti ebrei, testimoniati anche da materiale documentario.
È questo anche il secolo in cui si sviluppa, tra la borghesia ebraica, l’impegno nel collezionismo di strumenti musicali e di opere d’arte “moderna” (valgano per tutti i dipinti in mostra di Francesco Hayez) e quello per la cultura scientifica, con un impegno nei confronti dell’imprenditoria e, più in generale, dello sviluppo della città. Un processo di integrazione che continua anche nel Novecento – prima di ripiombare nel buio delle coscienze – legato soprattutto al mondo delle arti (significativo il ruolo di Margherita Sarfatti nel promuovere il Gruppo del Novecento) e a quello delle professioni, con alcuni protagonisti della società veneziana (avvocati, medici, psicanalisti, pubblici amministratori, quali i Musatti, i Luzzatto, gli Errera) provenienti proprio dalle principali famiglie ebraiche.

Non marginale il ruolo degli ingegneri e degli architetti (i Fano, o Guido Costante Sullam) oltre che nelle necessarie ristrutturazioni degli immobili precari nell’area dei tre ghetti, nella progettazione di abitazioni ed edifici pubblici. Il giardino Treves a Padova e il progetto di Giuseppe Jappelli per la disposizione delle essenze e per gli elementi decorativi – sia pure in gran parte demoliti – è un esempio significativo di modernizzazione urbana documentato in mostra; mentre alcune opere d’arte di grande impatto, quali il ritratto di Letizia Pesaro Maurogonato – lucida testimone delle inquietudini politiche degli ultimi decenni del XIX secolo a Venezia – dipinto da Giacomo Balla nel 1901, sono testimonianze evidenti della partecipazione degli ebrei alla vita artistica della città, che nel 1928 volle acquistare dalla Biennale di Venezia per le collezioni della Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro lo splendido Rabbino di Vitebsk di Marc Chagall, divenuto una vera icona del Novecento.

Sappiamo bene scrive Donatella Calabi – che questo processo è poi stato bruscamente interrotto dalla cacciata degli ebrei dalle scuole, dalle cariche pubbliche, dagli uffici e, soprattutto, delle deportazioni. Qui l’ambiguità dei legami tra Margherita Sarfatti e Mussolini non è sottaciuta, ma riassunta in alcune lettere e documenti. Il filo di speranza che ha dato la riapertura di tre delle cinque antiche sinagoghe, le riunioni nella Sala Montefiore delle associazioni, la ricostituzione della Comunità ebraica subito dopo la Liberazione chiudono questa mostra, senza tuttavia che quanto avvenuto anche a Venezia durante il fascismo possa essere dimenticato”.

Alla fine dell’esposizione, un altro dispositivo multimediale (che richiama quello iniziale del “getto” di rame) permetterà ai visitatori di lasciare una traccia della loro presenza, un loro ricordo di ciò che li avrà maggiormente colpiti nel percorso espositivo, invitandoli nel contempo ad andare a vedere e conoscere di persona i luoghi di cui tratta la mostra, per appropriarsi delle storie raccontate, percorrendo gli spazi e i luoghi fisici che hanno segnato così profondamente la storia d’Europa.