Sala degli Scarlatti. La sala, un tempo adibita ad anticamera per i consiglieri ducali, prende forse il nome dal colore delle loro toghe. Dell’antico arredo conserva il soffitto intagliato, progettato ed eseguito probabilmente da Biagio e Pietro da Faenza, su cui campeggia lo stemma di Andrea Gritti (doge dal 1523 al 1538). Il camino, caratterizzato da una bella ornamentazione con cornucopie, foglie d’acanto, volute, testine di putti, è opera del primissimo ‘500 della bottega di Antonio e Tullio Lombardo. Lo stemma sulla cappa è dei Barbarigo (dogi dal 1485 al 1501). All’ambito lombardesco è riconducibile anche il rilievo marmoreo sopra la porta d’ingresso, con Leonardo Loredan (doge dal 1501 al 1521) in atteggiamento devozionale.
Sala dello Scudo. Il nome della sala deriva dall’uso di esibirvi lo stemma (scudo) del doge in carica, che qui concedeva udienza e riceveva gli ospiti. L’insegna esposta è quella di Ludovico Manin, ultimo doge della Repubblica prima della caduta nel 1797. La grande decorazione con carte geografiche riproduce possedimenti della Repubblica, o regioni lontane esplorate da veneziani. La versione originale delle mappe che rivestivano le due pareti principali risale al Cinquecento. Vennero poi rifatte nel 1762 dal cartografo e poligrafo Francesco Grisellini, che, su commissione del doge-letterato Marco Foscarini, vi aggiunse altri dipinti con la descrizione dei viaggi dei più celebri esploratori veneziani: Nicolò e Antonio Zen, che si spinsero sino alla Groenlandia; Pietro Querini, naufragato sui fiordi norvegesi; Alvise da Mosto, scopritore delle isole del Capo Verde. Alla stessa epoca appartengono anche i due grandi globi girevoli al centro della sala, che rappresentano rispettivamente la sfera celeste e la superficie della Terra.
Sala Grimani. Il soffitto intagliato di questa sala risale ai dogi Barbarigo (1485/1501), ma lo stemma applicato al centro a fine Cinquecento è quello dei Grimani, da cui la stanza prende il nome e che diedero tre dogi alla Repubblica. Notevole il camino, riconducibile alla bottega dei Lombardo, decorato dallo stemma Barbarigo e caratterizzato dall’elegante fascia ornamentale con il leone marciano circondato da divinità e figure marine, mentre lo stucco sovrastante la nappa risale al dogado di Pasquale Cicogna (1585-1595). Il fregio sotto il soffitto, eseguito a fine ’500, durante il dogado di Marino Grimani rappresenta figure allegoriche, diverse personificazioni tra cui quella di Venezia e l’evangelista Marco col leone.
Sala Erizzo. La sala deve il nome a Francesco Erizzo, doge dal 1631 al 1646. Come nelle altre stanze, il soffitto a intagli dorati su fondo azzurro e il camino lombardesco risalgono a fine Quattrocento. Lo stemma Erizzo tra Venere e Vulcano che sormonta la cappa è più tardo. Lungo le pareti un fregio con putti e simboli di guerra allude alle imprese del doge Erizzo, giunto al vertice dello Stato grazie soprattutto alle benemerenze militari.
Sala degli Stucchi. La lavorazione a stucco della volta a botte scandita da lunette risale al dogado di Marino Grimani (1595-1605), mentre è del doge Antonio Priuli (1617-1623) lo stemma che decora il caminetto, sormontato da figure allegoriche. Un altro Grimani, Pietro (1741-1752) ordina le decorazioni in stucco alle pareti realizzando anche le cornici per i dipinti qui esposti da allora, che illustrano vari Episodi della vita di Cristo, e un Ritratto del re di Francia Enrico III, forse di mano di Jacopo Tintoretto, a cui Venezia riservò una spettacolare accoglienza nel 1574 mentre si recava dalla Polonia in Francia per succedere al trono lasciato vacante dal fratello Carlo IX. In seguito ai due incendi di Palazzo Ducale della seconda metà del Cinquecento, fu necessario provvedere al restauro e alla nuova decorazione delle sale, quella che ancora oggi possiamo ammirare. Era doge in quel 1577 Sebastiano Venier, eletto per meriti di guerra: pochi anni prima, nel 1571, aveva infatti guidato la flotta veneziana nella vittoriosa battaglia di Lepanto contro i Turchi.
Sala dei Filosofi. La sala prende il nome da dodici immagini di filosofi antichi che vi erano state sistemate nel XVIII secolo, poi sostituite da allegorie e ritratti di dogi. Dando le spalle alla Sala dello Scudo, sulla parete a sinistra, si può notare una porticina che immette su una scala interna mediante la quale il Doge poteva raggiungere rapidamente dai suoi appartamenti le sale al piano superiore dove si riunivano il Senato e il Collegio.
Sala delle Volte. Adibita probabilmente a funzioni private, questa sala è una delle poche senza camino o altre decorazioni originali. Nel XVII secolo, l’appartamento del doge fu ampliato, aprendo dalla Sala degli Stucchi un lungo corridoio pensile di collegamento (demolito nel XIX secolo) con la vicina Canonica di San Marco (ora sede del palazzo del Patriarca di Venezia). Qui trovarono spazio una grande sala dei banchetti e una serie di stanze destinate al doge, alla sua famiglia e alla servitù.
Sala dell’Udienza. La sala è stata forse identificata come una delle tre dedicate in quest’area del Palazzo alle udienze. Notevoli il camino, in marmo di Carrara, scolpito con putti alati su delfini e leone marciano al centro, e il fregio ligneo intagliato sotto il soffitto, entrambi risalenti a fine Quattrocento. Le storie e le vestigia qui esposte ci accompagnano ormai verso gli ultimi secoli della Repubblica.
Sala dell’Antiudienza. Anche di questa stanza non è certa la funzione peculiare e certamente mutò molte volte destinazione. Dell’arredo originario resta lo splendido camino.
Sala degli Scudieri. Era questa, in origine, la sala dalla quale si accedeva all’appartamento del doge. Qui stazionavano i suoi scudieri, nominati a vita direttamente dal doge e di cui otto dovevano essere sempre a sua disposizione. La sala è priva della decorazione originaria e il suo maggior pregio è dato dai due monumentali portali (fine Quattrocento) che immettono alla sala dello Scudo e alla Scala d’oro.
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Le sale dell’Appartamento del Doge ospitano mostre temporanee a rotazione.