Palazzo Ducale

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Percorsi e collezioni

La Quadreria

A partire dal 1615, negli ambienti di Palazzo Ducale fu offerto alla pubblica fruizione un nucleo di dipinti, già proprietà del cardinale Domenico Grimani e alla sua morte acquisito dalla Serenissima Repubblica. 
Quadri da cavalletto di origine fiamminga, non pertinenti con la storia della sede ospitante, ma che in breve tempo divennero presenze fisse nelle sale del Palazzo.
A questi dipinti si riferì Marco Boschini, quando, nella sua guida ‘pittorica’ di Venezia del 1664 elencò “quindici quadretti di mano dello Civetta” (Herri met de Bles) visti nel “Transito che conduce alla sala dell’Eccelso Consiglio dei Dieci”, assieme a un trittico raffigurante una santa crocifissa, il Martirio di Santa Liberata di Jheronimus Bosch. 
La notizia venne confermata da Anton Maria Zanetti, quando nel 1773 ribadì la presenza in Palazzo dei quindici quadri visti un secolo prima da Boschini. 
Zanetti specificò trattarsi di otto paesaggi alla maniera antica, di un trittico e di quattro composizioni “con bizzarre invenzioni”, da lui attribuite al Civetta, esposti a partire dal 1771 nella sala dei Tre Capi del Consiglio dei X, insieme al trittico di Santa Liberata.
Negli anni Settanta del secolo scorso, si cercò di recuperare questa tradizione destinando, insieme alla Sala dei Tre Capi, anche la Sala del Magistrato alle Leggi all’esposizione di  quel nucleo originario di dipinti ancora presente in Palazzo, come le tavole di Jheronimus Bosch, oggi alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, affiancandone altri di provenienza diversa.
L’attuale riallestimento della Sala della Quarantia Criminale, della Sala dei Cuoi e della Sala del Magistrato alle Leggi, si inserisce in questa tradizione che, a fianco degli apparati decorativi “istituzionali”, presentava anche dipinti da cavalletto, provenienti da collezioni private.
Riferendosi alla secolare presenza di dipinti fiamminghi in Palazzo, si è deciso di riservare la Sala dei Cuoi all’esposizione di opere fiamminghe, tra le quali vi è l’unica superstite di quelle offerte alla pubblica fruizione in Palazzo a partire dal 1615: la Visione apocalittica già attribuita al Civetta e oggi più opportunamente ricondotta ad anonimo seguace di Bosch. Accanto ad essa figura una selezione di affascinanti tavole del XVI secolo fiammingo, opera di Maerten de Vos, Quentin Metsys e Frans Floris.
Nelle altre sale sono esposti capolavori di Giovanni Bellini, Tiziano, Jacopo Tintoretto e Giambattista Tiepolo, maestri sommi dell’arte veneziana, nonché di Anthony van Dyck, che ebbe la pittura veneziana tra le sue più feconde ispirazioni, e di Artemisia Gentileschi, la pittrice “eroina” della storia dell’arte italiana del Seicento, che visse tre anni a Venezia. 

 

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