Venezia, Palazzo Ducale, Appartamento del Doge
18 febbraio – 4 giugno 2017
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Fondamentale, nella ricostruzione del rapporto di Bosch e Venezia, risulta la testimonianza precocissima di Marcantonio Michiel, conoscitore e critico d’arte, il quale nel 1521, nel descrivere la collezione “lagunare” del Cardinale Domenico Grimani, nomina, accanto a una straordinaria serie di dipinti nord europei, tre opere di Bosch con mostriciattoli, incendi e visioni oniriche: opere che il cardinale alla sua morte, due anni più tardi, lascerà in eredità alla Serenissima Repubblica, insieme ad altre pitture e sculture. Casse piene d’opere rimasero nei sotterranei di Palazzo Ducale fino al 1615, quando un nucleo fu recuperato ed esposto nella residenza dogale.
In realtà due soli lavori del pittore di ’s-Hertogenbosch attualmente conservati in laguna sembrano corrispondere a quelli descritti dal Michiel (della terza opera da lui indicata si sarebbero perse le tracce), ma si ritiene comunque che anche la tavola con la cosiddetta santa Liberata – descritta a Palazzo Ducale nel 1664 dal Boschini e sulla cui autografia c’è sempre stata concordia – fosse in origine nella collezione del nobile ed erudito Grimani.
I restauri effettuati mostrano come due delle tre opere conservate a Venezia – La santa Liberata e Inferno e Paradiso – fossero inizialmente destinate a committenze nordeuropee, modificate in seguito (magari da qualcuno dell’atelier, subito dopo la morte di Bosch) per adeguarsi a una raffinata clientela italiana e a un nuovo destinatario: probabilmente proprio il patrizio veneziano Domenico Grimani, cardinale e figlio di Antonio, il 76esimo Doge di Venezia.
Il cardinale Grimani e la sua collezione.
Il tema del sogno, la passione per i fiamminghi, le discussioni erudite
La mostra si sofferma sulla figura di Domenico – effigiato in un tondo di Palma il Giovane insieme al nipote Marino e nella bellissima medaglia realizzata dal Camelio – e sui suoi interessi collezionistici con opere di grande suggestione come alcune statue greche appartenute alla raccolta del nobile veneziano e soprattutto la placchetta argentea con la Flagellazione di Cristo – capolavoro del Moderno commissionato dal cardinale e prestato alla mostra dal Kunsthistorisches Museum di Vienna – e l’eccezionale Breviario Grimani con le sue 110 miniature (1515-1520 c.), probabilmente il più bello e il più importante tra i manoscritti miniati prodotti nelle Fiandre durante l’estrema fioritura dell’ars illuminandi, in un tempo in cui i libri a stampa erano ormai accessibili e le opere manoscritte una rarità.
Quindi, la tematica del sogno, cara all’entourage di Domenico Grimani.
Personalità di elevata statura e di svariati interessi, dalla filosofia alla teologia, amante della scultura greca antica, di Tiziano, di Raffaello e di Leonardo da Vinci, il cardinale era attratto infatti anche dall’arte delle Fiandre e soprattutto interessato fortemente a quelle visioni oniriche immaginate negli ambienti colti della Venezia dell’epoca.
Il tema del sogno ricorre nel famoso romanzo-visione pubblicato nel 1500 a Venezia da Aldo Manuzio Hypnerotomachia Poliphili, nell’incisione Il Sogno (1506-1507) di Marcantonio Raimondi – tratta forse da un perduto dipinto di Giorgione – con due donne svestite dormienti e vari mostriciattoli, e nel fondamentale bulino di Domenico Campagnola raffigurante l’Astrologo (1509), in arrivo dal British Museum di Londra.
Secondo il curatore della mostra Aikema, le immagini oniriche di demoni e mostri in questi casi non deriverebbero da Bosch – riflettendo semmai il fascino esercitato dalle stampe tedesche di Dürer, Martin Schongauer e Lucas Cranach il Vecchio, tutti in mostra – ma viceversa la presenza di Bosch in laguna sarebbe la conseguenza di una precisa “moda”, di un interesse già diffuso negli ambienti intellettuali, basti guardare ai piccoli bronzi di soggetto mostruoso e fantastico che decoravano gli studioli del tempo, come il Calamaio in forma di mostro marino di Severo da Calzetta (1510 – 1530), attivo nel XVI secolo a Padova alla Basilica del Santo, o come il Satiro seduto che beve di Andrea Briosco detto il Riccio.
Così come lo stesso Bosch e molti artisti d’oltralpe avrebbero attinto certi personaggi “surreali” dalle grottesche caricature di Leonardo (in mostra anche alcuni bellissimi fogli del corpus grafico leonardesco, realizzati probabilmente da Francesco Melzi, dal Gabinetto dei Disegni e Stampe delle Gallerie dell’Accademia).
Grimani dunque consapevolmente ricerca opere fiamminghe; consapevolmente vuole Bosch, con le sue panoramiche notturne da incubo e le sue creature mostruose ma anche con le sue ambiguità e stranezze; e lo vuole – vero principe rinascimentale – per ragioni estetiche, per farne il pretesto di una discussione erudita, l’occasione di un confronto intellettuale come momento di diletto e di formazione per il suo “cenacolo”, così some avveniva con le opere giovanili di Lotto, Tiziano e soprattutto Giorgione.
Daniel Van Bomberghen, l’ambiente ebraico e i rapporti con le fiandre
Trova dunque un intermediario importante con le Fiandre negli ambienti ebraici che frequentava, vicino com’era al sincretismo di Giovanni Pico, tra speculazioni neopolatoniche e cultura giudaica.
In particolare, tra i principali contatti ebraici vi era il suo medico personale Meir de Balmes che, a sua volta, manteneva stretti rapporti con il più importante editore di libri in ebraico,“poliedrico uomo d’affari” con spiccato interesse per le arti figurative, Daniel van Bomberghen, stabilitosi a Venezia intorno al 1515.
Bomberghen sarebbe stato il tramite per gli acquisti neerlandesi del cardinale, aiutato – novità degli attuali studi – anche da Cornelis De Renialme, nipote e associato in affari, che risulta aver gestito le trattative per le opere rimaste nella bottega di s’- Hertogenbosch dopo la morte del pittore, nel 1516 (compreso il cartone di Raffaello con la Conversione di Saul, sempre in collezione Grimani).
La presenza di Bosch a Venezia dunque non condiziona immediatamente la produzione artistica in Italia, essendo l’interesse per i paesaggi “alla fiamminga” già ampiamente diffuso sul mercato italiano e in laguna: basti pensare non solo alle opere del Civetta, di Patinir, di Scorel (forse anche la Torre di Babele in prestito dalla Ca’d ‘Oro) presenti nella pinacoteca del cardinale, ma anche a dipinti, quali le Tentazioni di Sant’Antonio o il frammento di scena infernale Discesa al Limbo, già nelle collezione Correr. Opere che comunque hanno contribuito a diffondere il mito di Bosch come creatore di demoni e hanno fatto proliferare nella seconda metà del Cinquecento nei Paesi Bassi, e poi ancora in pieno Seicento, una produzione di immagini “alla Bosch” abbastanza standardizzate ma richiestissime.
Le opere “alla bosch” e l’apoteosi seicentesca. Heintz il giovane
In mostra, un’infilata di anonimi seguaci del grande artista presenti in laguna ci dà conto della nascita di un mito; così come la diffusione dei motivi boschiani anche nella grafica è testimoniata da un nucleo di prestiti importanti dalla Koninklijke Bibliotheek van Belgie di Bruxelles.
In arrivo per l’occasione, da Vienna e Basilea, visioni infernali e allucinanti spettacoli, come l’enorme tela di Jacob Isaacz van Swanenburgh, mostrano l’apoteosi seicentesca di Bosch in patria, mentre nella città dei Dogi sarà Joseph Heintz il Giovane (in laguna per oltre cinquant’anni, dal 1625 fino alla morte) a far rivivere con i suoi “stregozzi” l’universo cupo e onirico, le creature deformi e grottesche di Bosch, in perfetta sintonia con il clima negromantico e gli interessi di molti esponenti dell’Accademia degli Incogniti.
Ma i tempi ormai erano cambiati. Ora questa pittura è puro estetismo, di effetto: non ci sono più messaggi da ricercare e capire, non più retaggi religiosi o morali; la dimensione del sogno lascia il posto al manierismo e alla meraviglia del barocco.
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