Palazzo Ducale

Palazzo Ducale

Percorsi e collezioni

Il Museo dell’Opera

L’Opera, chiamata anche fabbriceria o procuratoria, era anticamente una specie di ufficio tecnico preposto alla manutenzione del palazzo e alla gestione degli innumerevoli interventi di riforma e ristrutturazione subiti nel corso della sua lunga storia. L’Opera conservava documenti e vestigia della propria attività. Uno dei più importanti piani di restauro dei tempi moderni fu varato a partire dal 1875, e coinvolse sia le facciate del palazzo che gli antichi capitelli del portico terreno e del loggiato: ben 42 di questi capitelli, particolarmente antichi, preziosi o fragili vennero allora sostituiti da copie. Gli originali, depositati in palazzo, furono in seguito oggetto, durante l’ultimo decennio del ‘900, di un accurato lavoro di restauro, mentre veniva progettato e allestito, al piano terreno, il Museo dell’Opera, destinato a raccogliere queste ed altre importanti vestigia architettoniche del Palazzo. I Capitelli del Museo dell’Opera sono una parte preziosa e importante dello straordinario apparato di sculture e rilievi che arricchiscono le facciate medievali di Palazzo Ducale. Non si tratta di semplice decorazione, ma di un articolato “discorso” allegorico, religioso, morale, politico che certo risultava di più facile lettura e comprensione all’uomo del XIV e XV secolo che a noi. I significati delle sculture erano poi particolarmente importanti nelle decine e decine di capitelli scolpiti, un vero e proprio poema in pietra, popolato di donne, uomini, bambini, animali, piante, segni zodiacali, miti, simboli, vizi, virtù raggruppati in storie e favole, parabole e dimostrazioni, allegorie e ammaestramenti morali, in un percorso che univa, secondo un procedimento tipicamente medievale, sacro e profano, storia e leggenda, astronomia e astrologia. Il Museo dell’Opera offre un poetico itinerario lungo questa sorta di enciclopedica trattazione. L’allestimento attuale si sviluppa in sei sale.

Sala I. Questa sala ospita sei capitelli e relative colonne del porticato trecentesco del Palazzo, che si affaccia al Bacino di San Marco. Essi fanno quindi parte del più antico progetto di decorazione scolpita dell’edificio, cominciato nel 1340. Il primo che si incontra sulla destra rappresenta Salomone e sette sapienti.

Salomone e sette sapienti. Il capitello raffigura le arti liberali dominate da Salomone che sottopone le cognizioni pagane al dominio della fede cristiana. Salomone è la figura sul lato del capitello che guarda la parete; ha una tunica a grossi bottoni, rappresenta la sapienza divina e deve essere inteso come maestro dei sette sapienti e propugnatore di un sapere superiore. Consulta due libri, prudente nel mettere a confronto le sue fonti. Tutti i sapienti qui rappresentati siedono a gambe incrociate, in una posizione ereditata dal mondo orientale, segno di potere e meditazione. Procedendo in senso antiorario incontriamo Prisciano, che rappresenta tra le arti la grammatica, mentre scrive su un libro; Aristotele, la dialettica, ne indica uno, mentre Cicerone, maestro di retorica, alza la mano destra nel gesto dimostrativo di chi parla. Segue Pitagora aritmetico che allinea quattro oggetti, forse monete, su una tavoletta sulla quale è inciso un numero, 1344, forse data di esecuzione del capitello. Euclide, la geometria, usa il compasso mentre Tubalkain, inventore della musica, suona uno strumento a corde. Chiude il gruppo Tolomeo, padre dell’astrologia, che con il dito indica il cielo. Segue, dietro, un capitello decorato con teste maschili di razze diverse.

Teste maschili di razze diverse. Rese con grande realismo e abilità dall’anonimo scultore, rappresentano i vari popoli della terra.  Si riconosce la testa di un uomo barbuto e alla sua destra quella di un moro con il turbante. A sinistra, un anziano sul cui berretto sono rappresentati due piccoli leoni marciani. Si tratta perciò di un abitante di una terra sottomessa a Venezia, forse Creta. Seguono altri due volti. Gli occhi a mandorla ed il naso camuso del secondo di essi non lasciano alcun dubbio: si tratta sicuramente di un tartaro.

Sala II. A differenza dei capitelli della stanza precedente, i quattro di questa sala, con relative colonne, originariamente erano collocati sulla facciata verso la Piazzetta. Le figurazioni, di grande qualità scultorea, sono molto ricche di significati allegorici e morali in cui vengono trattati temi legati al lavoro, ai prodotti della terra, alle corrispondenze astrologiche. Sulla parete di ingresso è montata la tamponatura tardo-cinquecentesca di uno degli arconi del portico verso il Ponte della Paglia. Dopo un grande incendio nel 1577, infatti, era stata disposta la chiusura delle ultime arcate per motivi statici. Di particolare interesse è il secondo capitello a destra, raffigurante i Mestieri.

I Mestieri. Se il capitello della sala precedente aveva indicato le arti liberali, questo mostra le arti meccaniche che si svolgono dentro e fuori le mura della città. Il primo mestiere che si incontra, dando le spalle all’ingresso, è quello dello scalpellino, lavoro particolarmente importante nella realizzazione del palazzo. Proseguendo in senso antiorario riconosciamo l’orefice, la cui attività era nobilitata dalla ricchezza delle materie prime, il ciabattino, il falegname, il misuratore di cereali e legumi, il contadino, il notaio, il cui atto dello scrivere era mosso dall’intelletto, ed infine il fabbro. Una curiosità: i copricapi che indossano ci permettono di distinguere lo status professionale al quale appartenevano. I maestri hanno perciò un berretto voluminoso e riverso all’indietro (il notaio, il lapicida e l’orefice), i lavoranti stipendiati la cuffia (il falegname ed il fabbro) mentre gli apprendisti sono a capo scoperto (il ciabattino).

La sala ospita anche le nove statue (tre santi e cinque figure allegoriche) opera dei due fratelli veneziani Pierpaolo e Jacobello Dalle Masegne (masegne, in veneto, significa macigno), originariamente collocate nelle nicchie e nelle mensole del balcone sul fronte meridionale di Palazzo Ducale, in affaccio al molo.
L’attività dei Dalle Masegne è documentata, tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento, in diverse città del nord Italia, quali Mantova, Bologna e Modena, oltre che Venezia.

Sala III. Questa sala ha tre capitelli con colonne. Il primo a sinistra ed il primo a destra sono trecenteschi mentre quello posto in fondo è quattrocentesco. Il primo capitello a destra, definito da Ruskin “il più bello d’Europa”, era collocato nell’angolo tra la Piazzetta ed il Molo, sotto il gruppo scultoreo con Adamo ed Eva.

Creazione di Adamo, pianeti e loro domicili. Proprio dalla posizione che occupava si può capire l’importanza che rivestiva nel grande programma iconografico del Palazzo. Esso apre infatti la storia dell’universo e dell’umanità che si sviluppa poi nelle due facciate. La lettura inizia con la Creazione del primo uomo, visibile dando le spalle all’ingresso, a sinistra, e continua con la raffigurazione dei pianeti e dei segni zodiacali ad essi corrispondenti. All’immagine di Dio che, seduto sul trono, ha appena terminato di plasmare Adamo e ne regge un braccio ed il capo, segue in senso antiorario Saturno, vecchio e barbuto, seduto sul segno zodiacale del Capricorno, mentre regge le preziosa brocca dell’Acquario. E’ ancora visibile il suo attributo, la falce, che fa di lui il protettore dei lavoratori dei campi e ne ricorda il governo sull’ultima età dell’uomo e sulla morte. Nel terzo lato Giove, con una mantellina allacciata al collo ed un cappello dottorale, tocca il segno dei Pesci e siede sul Sagittario, armato di arco e freccia. Segue Marte nelle vesti di un guerriero in armatura con spada e scudo, mentre siede sull’Ariete affiancato dallo Scorpione. Un bel giovane dalla testa cinta di raggi occupa il quinto lato. E’ il Sole, seduto sul Leone, mentre regge l’astro con la sinistra. Venere, sul sesto lato, elegante con una cintola allacciata sul seno, ammira la sua beltà in uno specchio mentre siede sul Toro tenendo la Bilancia. Accanto è Mercurio, in toga e con un libro aperto in mano. E’ posto tra la Vergine ed i Gemelli. L’ultimo lato ospita una fanciulla dentro una barca che innalza la falce lunare e tocca un granchio, simbolo del Cancro. La navicella e la chioma mossa dal vento ricordano l’influenza della Luna sulle maree e sui venti. In fondo alla sala, l’ultimo capitello raffigura i vizi capitali.

Vizi capitali. Dando le spalle all’ingresso e procedendo in senso antiorario si riconoscono: la Superbia, in forma di guerriero armato di spada e scudo con l’elmo cornuto di Satana sul capo, l’anziana Ira che si strappa le vesti imprecando al cielo, l’Avarizia, che chiude due sacchetti con i pugni e l’Accidia, imprigionata tra i rami in atteggiamento indolente e passivo. Il lato successivo ospita la Vanità, collocata qui pur non facendo parte dei 7 vizi capitali. E’ rappresentata sotto forma di fanciulla, il capo ornato di fiori. Mira se stessa sullo specchio che tiene in grembo toccandosi il seno. L’Invidia che segue la indica mentre si rode dalla rabbia, cosciente di non essere più oggetto del desiderio altrui. Il serpente che ne cinge il capo ed il drago che stringe al seno ne sottolineano l’aspetto demoniaco. La Lussuria si scopre un seno guardandosi allo specchio ed infine la Gola alza un bicchiere e si porta un cosciotto alla bocca.

Sala IV. In questa sala sono collocati due fusti di colonna del porticato ed un possente muro di pietra viva a grandi massi sgrezzati ed accostati che risale ad una fase antica del Palazzo.

Sala V. Allineati lungo la parete dell’ingresso vi sono altri due fusti di colonne del portico, mentre quello posto sulla parete contigua, con il capitello a fogliami, appartiene al loggiato della facciata verso la Piazzetta. E’ stato montato in questa sala anche una parte del traforo del loggiato, con la sua successione di capitelli, sui quali poggiano gli archi acuti inflessi che danno vita al quadrilobo, sormontato dalla cornice a rosette. Negli spicchi degli archi , teste di leone.

Sala VI. In questa sala sono collocati 29 capitelli del loggiato. Rispetto ai capitelli del portico si nota qui un maggiore interesse per l’aspetto decorativo: il fogliame prende il sopravvento, le figure si appiattiscono, si confondono tra le foglie e diminuiscono di dimensione. Sebbene scolpite in maniera più rozza e scadente, anche le immagini del loggiato assolvono la funzione di illustrare la sfera dell’universo e la macchina del mondo sotto l’influenza degli astri. Alle pareti sono collocati vari frammenti lapidei delle facciate: pinnacoli, archetti, colonnine, rimossi perché lesionati o pericolanti e sostituiti con copie. In fondo alla sala vi è l’architrave della Porta della Carta recante l’iscrizione con il nome del progettista-lapicida: Bartolomeo Bon. Tornando indietro, lungo la parete destra, si incontra un busto. E’ ciò che resta del gruppo raffigurante il doge Cristoforo Moro col Leone marciano che era collocato nella nicchia davanti alla Scala dei Giganti, abbattuto alla caduta della Repubblica di Venezia nel 1797. La stessa fine fece anche il gruppo con il doge Francesco Foscari inginocchiato davanti al Leone realizzato da Bartolomeo Bon sopra la Porta della Carta, di cui ci resta solo la testa del doge che si può ammirare sullo stesso lato, procedendo verso l’uscita. Il gruppo attualmente collocato sulla Porta della Carta è una copia eseguita nel 1885.